IABO. Inafferrabile. Se esiste un aggettivo che può qualificare Iabo, di certo questo è il più appropriato. Avvezzo alla fuga, per via, forse, del suo background da writer, ha fatto di necessità virtù. Refrattario alle etichette, guai a bollarlo. Vi fareste un nemico. Imprendibile. Come un flusso energetico. Liquidarlo con la sintetica definizione di artista visivo equivale ad imbavagliare la sua più genuina natura. E’ piuttosto un camaleontico, metamorfico divulgatore, totalmente devoto alla dialettica orizzontale e democratica. L’arte per lui è ecologia. Intesa come riutilizzo di risorse creative. Consapevole dell’impossibilità di aggiungere all’esistente qualcosa d’inedito, sceglie di procedere per sottrazione, di esplorare anziché inventare. Terminato il tempo delle eclatanti rivoluzioni, superata l’idea dell’opera che fa gridare all’innovazione, Iabo succhia la sua linfa comunicativa dal mondo, la rimesta, la trasforma e poi la immette in un nuovo ciclo vitale. Tant’è che il suo linguaggio risulta immediatamente decodificabile, poiché la componente semantica - sebbene imperniata su concetti talvolta complessi - è veicolata attraverso una semiotica ampiamente diffusa e riconoscibile. L’arte si riappropria così della sua utilità. Liberata dall’autoreferenzialità che non di rado la domina, essa diventa strumento divulgativo, in un’accezione non demagogica ma egalitaria.Al punto che la relazione medium/messaggio è percepita in termini più funzionali che meramente estetici o concettuali. Un alfabeto versatile e universale, contaminato e contaminante, che trova la sua ragion d’essere nell’attimo in cui colma distanze, tesse relazioni e innesca reazioni. Un continuo processo di de-strutturazione e di ricomposizione con cui Iabo si fa interprete del nostro tempo.Qui sta la sua forza e, inconsapevolmente, la sua innovazione.
(Mara De Falco)